
"Dalle finestre di questa casa si vede il nulla. Soprattutto d'inverno: le montagne scompaiono, il cielo e la pianura diventano un tutto indistinto, l'autostrada non c'è più, non c'è più niente. Nelle mattine d'estate, e nelle sere d'autunno, il nulla invece è una pianura vaporante, con qualche albero qua e là e un'autostrada che affiora dalla nebbia per scavalcare altre due strade, due volte: laggiù, su quei cavalcavia, si muovono piccole automobili, e camion non più grandi dei modellini esposti nelle vetrine dei negozi dei giocattoli. Capita anche di tanto in tanto- diciamo venti, trenta volte in un anno- che il nulla si trasformi in un paesaggio nitidissimo, in una cartolina dai colori scintillanti; ciò si verifica soprattutto in primavera, quando il cielo è blu come l'acqua delle risaie in cui si rispecchia, l'autostrada è così vicina che sembra di poterla toccare e le Alpi, cariche di neve stanno là, in un certo modo che ti si allarga il cuore solamente a guardarle. Si vede allora un orizzonte molto vasto, di decine e di centinaia di chilometri; [...] un crocevia di vite, di storie, di destini, di sogni; un palcoscenico grande come un'intera regione, sopra cui si rappresentano, da sempre, le vicende e le gesta dei viventi in questa parte di mondo. Un'illusione...
Davanti a queste finestre, a questo nulla, mi è accaduto spesso di pensare a Zardino: che fu un villaggio, come quegli altri che si vedono laggiù, un po' a sinistra e un po' oltre il secondo cavalcavia; sotto la montagna più grande e più imponente di questa parte d'Europa, il Monte Rosa. Nelle giornate -cartolina, il paesaggio di questi luoghi è dominato ed è anche fortemente caratterizzato dalla presenza di quella montagna di granito e di ghiaccio che si innalza sui picchi circostanti quanto quelli sulla pianura: "un macigno bianco"-così lo descriva all'inizio del secolo il mio babbo matto, il poeta Dino Campana [...]. Campana era arrivato a Novara una sera di settembre, in treno, senza vedere niente perchè fuori era già buio e la mattina del giorno successivo, attraverso le inferriate di un carcere gli era apparso il Monte Rosa "in un cielo bianco di picchi/ che corrono": un'immagine inafferrabile e lontana come quell'amore che lui allora stava inseguendo e che non avrebbe mai raggiunto, perchè non esisteva... Una chimera!"
Così Sebastiano Vassalli scrive ne la Prefazione de La chimera.
Parole da leggere non solo con la mente, ma anche con il cuore, dando ali all'immaginazione, provando ad immaginare il paesaggio descritto, il villaggio di Zardino, il Monte Rosa di granito e di ghiaccio che si innalza sui picchi circostanti e sulla pianura, sperimentando l'inafferrabilità delle immagini, il loro essere illusione e chimera, per predisporsi ad accogliere la storia, ambientata nel 1600, di una giovane donna, di Antonia...
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