"Io ero, quell'inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi sono messo a raccontare. Ma bisogna dica ch'erano astratti, non eroici, non vivi; furori in qualche modo per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero col capo chino. Vedevo manifesti di giornali squillanti e chinavo il capo; vedevo amici, per un'ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi apsettava, ma anche con lei chinavo il capo. Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l'acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete.Questo era il terribile: la quiete nella non speranza..."
Così inizia Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini, romanzo, secondo la critica, tra l'onirico e l'allegorico, uscito dapprima a puntate nella rivista Letteratura nel 1938-39, poi pubblicato in volume unico con il titolo Nome e lacrime, infine uscito per la casa editrice Bompiani nel 1941 titolato Conversazione in Sicilia. Un inizio che ci narra di uno stato d'animo, quello della quiete, nel contesto di una non speranza, una quiete che assume il volto della passività, della rassegnazione, di un sordo sogno...
Poi un giorno l'arrivo di una lettera a Silvestro Ferrauto, protagonista del romanzo, una lettera del padre che gli comunica di aver lasciato la madre per andare a vivere con un'altra donna a Venezia. Di qui la decisione di Silvestro di tornare in Sicilia, terra natia lasciata a 15 anni per recarsi nel Nord in cerca di lavoro. Di qui l'inizio di un viaggio, fitto di incontri, di conversazioni, di dolori rinnovati, di nuove consapevolezze. Di qui la decisione finale di ripartire, di ritornare...
Nessun commento:
Posta un commento